Archeologia della materia - Caterina Morigi

spazio NEUTRO, Reggio Emilia, 14.03 - 2.05.2021

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Quanto l’Uomo imita la Natura e quanto c’è di umano nella Natura?

È all’interno e attorno a questa domanda che si muove la ricerca artistica di Caterina Morigi, protagonista della nuova mostra Archeologia della materia in corso a NEUTRO progetto espositivo che invita artisti e fotografi contemporanei a sperimentare all’interno di sei bacheche commerciali nel centro di Reggio Emilia. Un campo di indagine, ben rintracciabile già in alcuni lavori precedenti come quello presentato in occasione della mostra That’s IT! al MAMbo nel 2018 con il quale la Morigi ha esplorato le possibilità visive della superficie marmorea tra falsi marmi e superfici cutanee, che porta inevitabilmente con sé la riflessione e l’esplorazione di due temi.

Il primo è quello del rapporto tra Uomo e Natura, una relazione fisica e millenaria, che oscilla tra dipendenza e imitazione, distruzione e tentativi di ricostruzione, oggi più che mai all’interno di un’ottica antropocentrica nella quale - o per la quale - l’umanità sembra essersi dimenticata di far parte della natura stessa. Il secondo elemento è quello del concetto di copia dalla sua origine greca di mimesi, alla più contemporanea filosofia di vita diffusa tra gli hacker di diritto alla copia e al recentissimo saggio di Kenneth Goldsmith sulla scrittura creativa (NERO edizioni).

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Dopo il marmo e dopo il più recente - e ancora in corso di studio e manipolazione - disinfettante, il materiale di partenza è questa volta la pietra. Elemento fisico e naturale già utilizzato dalla Morigi che nel 2017 le ha fatto conquistare una copertina di Artribune. Le sei bacheche di vetro lungo la galleria del centro città ospitano, posizionate una accanto all’altra, una pietra e la sua imitazione realizzata in porcellana. Ed è proprio la giustapposizione di copia ed originale ad innescare una tensione.

Protetti da teche di vetro come all’interno di un museo archeologico, ma senza alcuna indicazione o didascalia, il manufatto e l’opera appaiono al fruitore intercambiabili: l’elemento naturale perde il fascino della sua naturalezza, quello artificiale il pregio normalmente conferito ad un prodotto realizzato artigianalmente. L’oggetto di valore storico – la pietra – si trasforma da oggetto di osservazione e studio, a soggetto della rappresentazione. La copia assume un valore artistico talmente alto da meritare per intero una delle sei bacheche all’interno della quale sono esposte cinquantatre piccole sculture in porcellana, realizzate all’interno di un laboratorio guidato dalla Morigi all’Istituto Caselli – Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte. Ciascuna pietra/copia rappresenta un tentativo di imitazione, più o meno riuscito, andando a comporre un insieme di artefatti che in tutte e per tutto documentano un’attività umana di ricerca tecnica, un archeologia della materia, al pari di vasi, coltelli, utensili, ospitati dai musei.

Nel 1936 Walter Benjamin attribuiva alla riproducibilità tecnica (e meccanica) del XX secolo la “perdita dell’aurea” dell’opera d’arte e bollava linguaggi come il cinema e la fotografia come invalidanti del concetto di “autenticità”. Con la sua pratica la Morigi mette in discussione questa divisione netta facendo proprie le tecniche artigianali da secoli utilizzate dall’uomo per riprodurre elementi e materiali naturali, innalzando così la copia a opera d’arte autentica. Se l’abilità tecnica non è più il fattore discriminante, cosa è arte e cosa non lo è? 

I copy therefore I am scriveva SUPERFLEX nel 2011 alterando l’iconica stampa di Barbara Kruger.

Una sovrapposizione, quella tra originale e copia, che trova spazio anche nella pubblicazione in accompagnamento alla mostra attraverso un’incursione al microscopio con la quale l’artista scompone e rielabora frammenti di pietra e porcellana. L’oggetto catalogo, dalle capacità comunicative maggiori rispetto alle opere stesse in mostra, assume qui funzione altra trasformandosi in un ulteriore spazio di ricerca passando dal macro – bacheche allestite – al micro – superfici – increspando invece di s-piegare l’opera.